Cos’è un rituale alla fine?
A noi piace davvero fermarci sulle parole e ascoltare il suono che fanno quando cadono dentro l’orecchio, nel profondo.
Rituale, rito, quel suono –rt ci piace proprio, ci suona bene.
Franco Rendich in un testo bellissimo che si chiama L’Origine Delle Lingue Indoeuropee parlando del valore semantico delle singole lettere dell’alfabeto di quell’antica e misteriosa lingua che è definita indoeuropeo, ipotizza che nella vocale –r siano insiti i concetti del moto “diretto alla meta”, tipico di verbi come “muovere verso, giungere, raggiungere”.
Poi ogni volta che utilizziamo questa parola con le persone esterne a noi vediamo un attimo di arresto, percepiamo l’attenzione nei nostri interlocutori fermarsi un istante ed andare alla ricerca del loro significato di rituale.
Il rito richiama alla mente le celebrazioni, le cerimonie, le feste comandate, dove ogni gesto è codificato per tutti coloro che vi partecipano e tutti sanno più o meno cosa succederà; ma il rito non è solo sociale o religioso, c’è una ritualità nei gesti degli sportivi ad esempio, o nel cominciare la giornata bevendo un caffè sempre allo stesso bar, o nel dedicare due ore alla settimana ad una cosa specifica, e via discorrendo.
Facciamo rituali ogni volta che la nostra emotività profonda ha bisogno di agganciarsi a qualcosa di (più o meno) piacevole, ogni volta che necessita di un appiglio (più o meno) ordinato, perchè il rituale è un’azione che ci segue e si aggiorna nel tempo ma vive con noi a lungo.
Ed ecco che questo fare azione ci ha portato a comprendere, con il tempo, che più abbiamo buoni rituali – buone abitudini diciamo da qui in avanti per non pestare i piedi ad antropologi, psicologi, linguisti e quanti si sentono portatori di una conoscenza approfondita dei riti – più ci risvegliamo alla consapevolezza che questo fare azione è un pò magico, perchè parla una lingua sottile e profonda ma così gentile che anche noi non sappiamo molto spesso da dove viene.
Quindi just do it!